Recensione di “Cecità”

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Autore: José Saramago

Casa editrice: Feltrinelli

Anno di pubblicazione: 2013

Genere: Narrativa contemporanea

Trama: In un tempo e un luogo non precisati, all’improvviso l’intera popolazione diventa cieca per un’inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un’esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l’insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l’orrore di cui l’uomo sa essere capace. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un’umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull’indifferenza e l’egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza.

Recensione: Cecità a mio parere è un capolavoro della narrativa. Non ho letto ancora altre opere di Saramago ma avendo iniziato con questa, posso dire con assoluta certezza che ha conquistato il mio cuore e che ora voglio dedicarmi alla lettura di molte altre sue opere. Cecità è un racconto potremo dire quasi distopico, dove ciò che viene rappresentata è la natura umana nuda e cruda. Saramago attraverso le sue parole descrive l’essenza dell’uomo moderno e di come questa sia corrotta, egoistica e soprattutto cieca. Ci troviamo in un tempo e luogo non preciso ma molto simile ai giorni nostri, quando scoppia una sorta di epidemia che rende tutti gli uomini ciechi; il governo, incapace di gestire la situazione decide di richiudere i cosiddetti “malati” in un ex manicomio per isolarli e cercare di arginare il contagio. Ciò che salta subito all’occhio leggendo questo racconto, è l’escalation di eventi che vivono i nostri protagonisti. Fin da subito, proprio per la paura insita nell’uomo, i vedenti iniziano a mostrare atteggiamenti aggressivi e violenti nei confronti di chi, involontariamente, è rimasto colpito dalla cecità. Sembra quasi che la cecità cancelli ogni forma di pietà. Un po’ come se la regola del “mors tua vita mea” fosse alla base di tutte le scelte dell’uomo. Inoltre la cecità è rappresentata come un velo bianco accecante, quasi a voler significare che non abbiamo a che fare con la cecità a cui siamo abituati, bensì con una cecità che permette di “vedere realmente”, allontanando l’uomo dalla sua tipica incapacità di notare le cose che gli succedono attorno o che fa finta di non notare. L’uomo che rappresenta Saramago è per cui un uomo individualista, che non empatizza e che attraverso il suo egoismo più profondo non riesce a vedere quello che vivono, provano e sentono gli altri. In tutto questo però c’è una donna, l’unica che non ha perso la vista e che riesce a vedere ancora con gli occhi. La moglie del medico (non abbiamo mai a che fare con nomi, quasi a voler ancora dare di più l’idea di un forte individualismo e di spersonalizzazione) è l’unica che non può evitare di guardare cosa succede realmente intorno a loro e che pur soffrendo, è costretta ad essere l’unica forza e l’unica speranza di tutto il gruppo. Mi ha quasi dato l’impressione di una forma di coscienza sopravvissuta a tutto, incapace di chiudere gli occhi di fronte alle atrocità e monito per tutti di cosa succede quando non si vuole vedere, nonostante si possegga la capacità. Quindi nonostante la visione così pessimista di Saramago nei confronti dell’uomo e della sua natura, tuttavia lascia uno spiraglio di possibilità e di speranza grazie a quella lieve forma di coscienza che può ancora agire nella mente di ognuno di noi. Un altra elemento che sottolinea la negativa unicità dell’umano, è dato dal cane che consola e segue la Moglie del medico, quasi a voler significare che gli animali, pur conservando i loro istinti più primordiali, riescono comunque a mantenere un briciolo di affettività e di altruismo da manifestare anche in situazioni così catastrofiche, a differenza delle persone che sembrano perderli completamente. Bellissimo a mio parere il finale, capace proprio di darti l’idea di come nonostante si viva tutti insieme un momento davvero catastrofico e sofferente, una volta che la paura e la sofferenza vengono meno, l’uomo torna al suo stato originale di egoista e di individualista, perdendo completamente tutto ciò che aveva imparato nel momento di crisi collettiva. Lascio a voi la scoperta della modalità bellissima attraverso cui Saramago rappresenta questa passaggio.

4+

5 Risposte a “Recensione di “Cecità””

  1. Capolavoro e’ la parola giusta ! E devi provare il secondo volume.. in realtà è una dilogia distopica ma non ne parla mai nessuno!!

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