Recensione di “Un litro di lacrime”

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Titolo: Un litro di lacrime

Autore: Kitō Aya

Casa editrice: Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2019

Genere: Autobiografia

Trama: Nel vasto mondo asiatico, il diario di Kitō Aya ha conosciuto un successo inarrestabile: pubblicato sul finire degli anni Ottanta in Giappone, ha venduto oltre un milione di copie. Una platea affollata per il racconto in prima persona di una ragazzina quindicenne che ha ispirato e incantato un intero continente. Aya racconta dieci anni della propria vita, racconta l’adolescenza e l’inizio dell’età adulta, una vita come tante, ma senza prospettiva, un’esistenza minata dalla malattia, ecco la differenza. Ed è racchiusa qui la potenza di queste pagine: nella ribellione, nell’ironia, nella fragilità che si trasforma in forza, che fanno di Aya un simbolo, una figura di culto. Perché, al di là della sua particolare condizione, è riuscita a gridare con voce limpida cosa vuol dire diventare grandi, e a contare quante lacrime servono per affrontare le sconfitte. Inedito per trent’anni in Europa, il diario di Aya arriva oggi a noi con la stessa, rara forza di allora.

Recensione: Scrivere questa recensione è stata un’impresa ardua perché questo libro/diario mi ha lacerato il cuore. Ho terminato di leggere “Un litro di lacrime” qualche giorno fa ma non sono riuscita subito a parlarvene perché mai titolo fu più azzeccato. Al termine della lettura ho versato talmente tante lacrime che ho avuto bisogno di un po’ di tempo per riprendermi. Il mio rapporto con la malattia è sempre stato molto sofferto. Quando parlo di malattia non faccio riferimento a quella vissuta in prima persona, bensì a quei mali che mi hanno strappato persone care oppure son quasi riuscite a portarmi via chi avevo di più importante. Di questo libro infatti mi hanno colpito diverse cose ma sopratutto la forza e l’amore di una madre ( e della famiglia a seguito) che nonostante soffrisse disperatamente, ha tenuto duro per trasmettere questa forza alla figlia malata. Riuscivo a comprendere cosa volesse dire sentirsi morire dentro eppure dover sorridere e sprigionare energia per cercare di non far trasparire nulla a chi ci stava vicino e stava soffrendo. Aya, la scrittrice del diario, è una ragazza dolce e sensibile, capace di affrontare il dolore e la sofferenza in modo coraggioso. Vive i rapporti umani con una delicatezza sublime e nonostante la sua condizione, ha sempre una parola di attenzione e di cura nei confronti dell’altro. Nel diario non trascrive solo momenti di vita del periodo della malattia ma sopratutto sentimenti, desideri, frustrazioni, dolori. La presa di consapevolezza della sua reale condizione non ha mai fatto smettere ad Aya di combattere e di cercare di tenere stretto tutto ciò che le era più caro. Gli affetti sono forse la vera forza di questo romanzo e della storia di Aya. A cominciare da quelli famigliari, in primis la madre, per poi proseguire con i suoi amici, i compagni di scuola e il personale medico. Aya dove passa lascia il segno; un segno indelebile nei cuori delle persone che la conoscono e insegna qualcosa a tutti con la sua spontaneità nel cercare di non lasciar andare via la vita. La storia narrata in questo libro/diario è una storia di forza come ce ne sono poche che per fortuna ad oggi, è giunta a noi. Essendo un diario, la scrittura è molto semplice ma diretta. È come un coltello che comincia ad entrarti piano piano nel cuore per poi trafiggerti fino in fondo. In questo caso, di certo, non è importante lo stile, quanto invece il peso di ogni parola che come un macigno grava su chi vuole intendere il messaggio che porta. È un messaggio di speranza. Può sembrare assurdo pensare alla speranza nel caso di Aya ma è come se lei attraverso il suo narrarsi, in realtà, avesse deciso di portare quella speranza agli altri, a coloro che la leggeranno e che in quei racconti si rivedranno. È un libro difficile da spiegare a parole, così come è difficile spiegare la sofferenza. Va letto per sentirlo nelle vene, sulla pelle e nelle ossa. Va assorbito e metabolizzato al fine di riaverne indietro qualcosa di particolarmente intimo e personale; qualcosa che riesca a far riferimento alla nostra esperienza, qualunque essa sia, e si agganci a questa per divenire poi un ancora di salvezza.

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