Recensione di “Factory”

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Autore: Tim Bruno

Casa editrice: Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2020

Genere: Narrativa per ragazzi

Trama: La Factory è uno stabilimento di animali sottoposti alla più grigia routine produttiva. Da molte stagioni Scorza, un ratto solitario, ha scoperto il modo di entrarvi, aprendosi un varco in una grata di ferro arrugginito. È così che riesce a rubare il foraggio destinato agli animali d’allevamento. La Factory è diventata la sua dispensa privata: cibo a volontà e tepore anche in inverno. Ma un giorno il ratto cade sul tapis roulant che riempie i trogoli e si ritrova muso a muso con A550, un vitello chiazzato da una macchia bianca proprio al centro della fronte. Scorza scopre così che quel corpo fumante di vapore è in grado di parlare e di provare emozioni. È l’inizio di un’amicizia e l’amicizia, si sa, fa la rivoluzione.

Recensione: Avevo appena terminato una lettura abbastanza impegnativa dal punto di vista emotivo e mi sono voluta gettare a capofitto in un libro per ragazzi pensando, erroneamente, che questo potesse essere un po’ più leggero rispetto a quello appena terminato. Mai feci errore più grande. Questo libro l’ho praticamente divorato in una serata, con la copertina sulle gambe, il gatto accanto e litri e litri di lacrime. Attenzione, non fraintendetemi: io ho letteralmente amato Factory! Sicuramente avevo sottovalutato la sua potente carica emotiva e la sua capacità di arrivarti dritto all’anima. Questo libro ha come protagonisti animali e sicuramente il tutto rende la storia ancora più sensibilizzante. Difatti gli animali vengono spesso utilizzati nei libri dedicati ai più giovani proprio perché è più facile entrare in empatia con un cane, un gatto oppure un vitello. Il problema è che io ho 36 anni e questa sensibilità (per fortuna) non è andata affievolendosi nel tempo, anzi direi tutto il contrario. La storia nasconde in sé un analisi molto più profonda della società odierna. Factory parla del mondo in cui viviamo, dello sfruttamento animale, della produzione di massa, della desensibilizzazione e dell’indifferenza anche verso l’umano. Seguiremo le vicende del nostro topolino Scorza che uscirà dal suo guscio di solitudine ricercata per entrare in contatto con altri animali e capire che l’amore e l’attenzione per l’altro spesso sono l’unica cosa per cui valga la pena vivere. Il topolino ci insegnerà anche ad andare aldilà di quello che gli altri ci dicono e ci impongono di credere, di guardare oltre la facciata e di “sentire” l’essere vivente che abbiamo di fronte (così come dovremo fare ogni volta che vediamo un’immagine di un barcone di naufraghi alla deriva). Allo stesso tempo i suoi nuovi amici scopriranno che esiste qualcosa oltre loro naso e che la l’esistenza non finisce con la propria mattonella. L’idea di massa che segue un unico pensiero con una cerca ignoranza ( il suo vero significato, ovvero “che ignora”) è molto forte in questo racconto e si cerca di scardinarla facendo capire al lettore che oltre l’indifferenza, la paura e l’egoismo, esiste un mondo fatto di libertà di pensiero e menti aperte che vivono la vita con partecipazione e coinvolgimento. Factory racconta di un Sistema, Il Sistema Factory, che sembra esistere indipendentemente da quello che succede al di fuori della fabbrica e che annulla la dignità di ogni essere vivente, riducendolo ad un singolo numero. Nessuno può pensare all’altro come essere vivente e non come numero altrimenti subentrerebbe tutto ciò che c’è di più umano e il sistema crollerebbe. Vi ricorda qualcosa? A me ha ricordato tanto il periodo del Nazismo e i campi di concentramento; allo stesso tempo, mi ha fatto pensare anche alle più recenti battaglie sui diritti dove se non siamo direttamente coinvolti, non ci sentiamo in dovere di manifestare e di alzare forte la voce per farci sentire. Scorza aiuterà gli animali di Factory ad aprire gli occhi e vedere col cuore cosa non va nel loro mondo. Li animali insegneranno invece a Scorza che la vita non vale la pena di esser vissuta se non lo si fa per e con qualcun altro. Ora sembrerà quasi che il libro finisca in tragedia (visto anche il mio riferimento al pianto durante la lettura). In realtà, la storia ha un lieto fine sopratutto perché dimostra ancora una volta che il sistema può essere sconfitto e che l’umanità, in questo caso “l’animalità”, può tornare ad essere un mondo migliore. A mio parere molto bella anche l’idea di sacrificio e di dono verso gli altri che questo libro trasmette. Non voglio poi dimenticare di elogiare anche la scrittura dell’autore, capace di farmi venire i brividi con una narrazione semplice, a tratti poetica e spesso malinconica. L’espediente di Vibrissa poi è stata la ciliegina sulla torta: la coscienza che ti sbatte in faccia la realtà, che ti mostra cosa sei e cosa potrai essere.

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