Recensione di “Dendera”

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Autore: Yuya Sato, Bruno Forzan (Traduttore)

Casa editrice: Rizzoli

Anno di pubblicazione: 2023

Genere: Narrativa di genere, realismo magico

Trama: Arrivati al tramonto della vita gli anziani del Villaggio sono chiamati a un ultimo sacrificio per la comunità, l’ascensione: si addentrano nel bosco innevato e non fanno ritorno, destinati a morire di stenti e di freddo per non essere di peso ai giovani. Quando per la settantenne Kayu Sato arriva il momento di lasciare il Villaggio e la vita, accetta senza esitazione il suo destino, ma sulla montagna non troverà la morte, troverà Dendera: una comunità di donne che hanno rifiutato l’antica tradizione e hanno fondato una società autonoma tra i boschi. Tra una spietata lotta per la vita, la costante ricerca di risorse per sopravvivere al rigido e letale inverno e i giochi di potere portati avanti da anziane indurite dal tempo, Kayu cerca faticosamente di trovare il suo posto. Ma nel cuore dell’inverno il fragile equilibrio di Dendera è squarciato da una nuova e implacabile minaccia: un’orsa affamata è pronta a tutto per sfamare il suo cucciolo e vedere spuntare la primavera. Dendera è un romanzo intenso che non ha paura di scandagliare l’orrore e la violenza, una storia dark che diventa un’oscura esplorazione della femminilità, della vecchiaia e della morte.

Recensione: Il nome “Dendera” non è del tutto inventato, anzi tutt’altro. Deriva dal nome di un villaggio di poca importanza posto sulle rive del Nilo in Egitto che a sua volta aveva preso il nome dalla Dea dell’amore e della musica. Credo per cui che l’autore non abbia scelto a caso il nominativo di questo piccolo villaggio dove trovano rifugio le donne che, raggiunti i settant’anni, sono obbligate all’ascesa verso il paradiso per liberare di un peso le famiglie e gli altri abitanti. 

Sato è stato uno dei discepoli di Murakami e anche in lui è presente un realismo magico che ti conquista oppure ti lascia con l’amaro in bocca. Avendo sempre avuto difficoltà nel farmi piacere la letteratura orientale, mi sono approcciata a questa lettura con il solito reverendo timore di chi ancora una volta non avrebbe colto il significato profondo. 

Dendera è riuscito a catturarmi e stupirmi fin dalla trama, accendendo in me la curiosità di conoscere fino in fondo questa storia che in apparenza può sembrare mistica e quasi romantica per certi versi. Nonostante la freddezza dietro cui si nasconde un gesto come quello dell’Ascesa, l’idea di immolarsi per un bene comune e per la salvaguardia del proprio villaggio, può apparire come un gesto altruista e sentimentale. Niente di più falso; Dendera è una storia cruda e diretta, capace di mettere in evidenza la natura più spietata dell’uomo.

Queste donne decidono di fondare un nuovo posto dove vivere, a detta loro in un modo migliore rispetto a quello finora conosciuto. Eppure i meccanismi si ripetono in un circolo vizioso senza fine. Si creano fazioni e faide, si giustificano omicidi, si infliggono punizioni, si delineano ruoli difficilmente discutibili. Tutto si reitera fino alla completa distruzione dell’ideale superiore. Un mondo alternativo e nuovo di raccontare la replica dei sistemi totalitari al pari di un libro di Orwell.

Altro elemento fondamentale di questo libro è il rapporto tra uomo e natura. La natura forte, distruttrice e spietata è rappresentata dall’Orso. Di fronte all’evento naturale (ovvero all’attacco dell’Orso) l’uomo perde il controllo e la propria supremazia; il bisogno di imporsi su di essa e di tornare a controllarla, lo rende spietato a sua volta e incapace di provare empatia, dando inizio a una feroce caccia insensata e a dir poco crudele.

Il romanzo è inoltre imperniato di simboli significativi: lo stesso modo in cui si vestono le donne è carico di valore. Le donne arrivano all’Ascesa con uno yukata completamente bianco, libere di ogni peccato di fronte all’andata verso il Paradiso. Man mano che vivono a Dendera questo yukata si sporca sempre di più e si logora, al pari della loro anima.

Tuttavia non mi ritrovo con la rappresentazione della natura tramite la figura dell’Orso. Lo scrittore descrive l’Orsa come un animale selvaggio a tal punto da non riuscire a provare sentimenti come amore verso la propria prole ma solo semplice istinto; allo stesso tempo la investe di una carica vendicativa che non appartiene né agli animali selvatici né alla natura stessa. Siamo noi uomini che attribuiamo agli eventi naturali, così come ai comportamenti degli animali, sentimenti tipici degli uomini. Ecco perché fino alla fine, nonostante la vita passata difficile e sofferente di queste donne, ho tifato per l’Orsa e per la sua salvezza, mentre ho iniziato io stessa a provare sentimenti contrastanti per Kayu, la protagonista.

A proposito del finale, non vi svelo nulla e non vi faccio spoiler perché devo trovare ancora un significato alla scelta dell’autore. 

5+

6 Risposte a “Recensione di “Dendera””

  1. Con il realismo magico ho un rapporto di amore e odio. Darò una possibilità a questo libro perché i temi mi interessano molto

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  2. Il rapporto tra uomo e natura è stato ed è ancora molto discusso. Riguardo all’orsa o agli animali in generale, penso che non ci sia nessun desiderio di vendetta, ma neanche amore con il significato che intendiamo noi umani. Sembra comunque un libro che ti ha lasciato qualcosa, anche solo un giudizio critico da parte tua sul modo di descrivere la natura

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