Recensione de “Nell’Antro dell’Alchimista”

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Autore: Angela Carter

Casa editrice: Fazi

Anno di pubblicazione: 2019

Genere: Racconti

Trama: Nell’antro dell’alchimista – diviso in due volumi di cui questo è il primo – raccoglie la produzione migliore di un’autrice fondamentale. La camera di sangue , secondo Salman Rushdie il capolavoro per cui verrà sempre ricordata, è una serie di bellissime fiabe in chiave moderna, libere riscritture di quelle classiche, in cui l’autrice sbeffeggia gli stereotipi di genere affidando alla figura femminile le redini della storia, donandole un erotismo inedito e conducendola verso un finale vincente rimaneggiato in chiave ironica. Fuochi d’artificio nasce invece dall’esperienza dell’autrice in Giappone ed è il punto di svolta nella sua produzione, nonché il momento in cui il tema del femminismo diventa centrale: «In Giappone ho imparato cosa significa essere donna e mi sono radicalizzata». Ai tesori custoditi all’interno di questa magistrale raccolta Angela Carter ha affidato il proprio testamento stilistico, servendosi di una scrittura raffinata, barocca, a tratti ermetica e costruendo una nuova mitologia femminista con cui condurre un’acuta analisi della società che supera le barriere del tangibile e penetra i meandri dell’immaginazione.

Recensione: Se penso a questo libro, la prima parola che mi viene in mente è “disturbante”. Si, perché questa lettura è stata capace di disturbarmi nel profondo, lasciandomi diverse domande a cui non ho ancora saputo dare risposta. Partiamo col dire che questa è una raccolta di racconti; i temi attorno ai quali ruotano questi racconti sono diversi. Ci sono alcuni elementi ricorrenti come la paura e la morte, la sessualità e l’incesto, la formazione e la femminilità. Moti racconti sono rivisitazioni di favole già conosciute: ritroviamo Pinocchio, la Bella e la Bestia, Hansel e Gretel, il Gatto con gli stivali e molte altre. La trasformazione della Carter è in chiave gotica, dark, molto simile per certi versi alla penna di Poe. È anche però profana, sacrilega, volgare. La Carter non si esime dall’esagerare, dal superare i limiti e dal lasciare il lettore a bocca aperta. Eppure lo fa con una capacità stilistica poetica sublime che stona alcune volte con i temi trattati; sembra quasi di trovarsi di fronte a contenuti peccaminosi e blasfemi scritti però con una dolcezza e un’accuratezza nella ricerca delle parole tipiche delle raccolte classiche di altri tempi. Altra cosa che mi ha sconvolto è stato il ruolo femminile preponderante quasi in ogni racconto: la donna nella penna della Carter, diventa l’eroina esecrabile, a volte scellerata, che ribalta completamente la storia e la fa diventare un inno alla femminilità e alla forza femminile. L’immagine del sesso femminile è ostentata in tutta la sua naturalezza e rappresenta l’oggetto con il quale la figura femminile si riscopre, si forma e acquista vigore. Il sangue è il simbolo più utilizzato nella scrittura dell’autrice: è simbolo di morte, di rinascita, di scoperta, di evoluzione e di trasformazione. L’autrice sembra inoltre ossessionata dall’incesto e in molti racconti è presente come immagine forte e dissacrante. Le ambientazioni sono quelle tipicamente gotiche che amo: spesso ci ritroviamo nella foresta, in piccoli villaggi dell’entroterra, oppure in castelli fatiscenti. Altro luogo amato è il luna park che, insieme a quelli prima elencati, condivide caratteristiche tipicamente tenebrose e tetre. Posso dire per certo che la fantasia della Carter non aveva limiti e che spesso ho avuto difficoltà a capire dove il racconto andasse a parare. Riflettendoci poi, al termine di ogni storia, ne ho cercato di capire il significato profondo e mi sono ritrovata a definire un senso e una morale legati sopratutto alle emozioni più primitive dell’uomo. Dietro ad ogni storia apparentemente frutto di una fantasia scellerata, si nasconde la rappresentazione letteraria dell’essenza umana, in particolare quella femminile. Ci sono anche i racconti dedicati al suo trascorso in Giappone che, pur essendo ambientati nel bellissimo paese del Sol Levante, non sono riusciti a catturarmi così come hanno fatto le fiabe. Forse perché in questo caso ho visto la rappresentazione della donna come oggetto, capace di svalutatarsi a sua volta. Il racconto che ho preferito è stato quello del “Il Gatto con gli Stivali”. Oltre ad avere le caratteristiche esposte finora, ho ritrovato una vena umoristica e una capacità narrativa alternativa briosa e comica. Ho amato la figura del gatto narrante e della sua capacità intellettiva, talvolta superiore a quella del suo compagno umano. So che “La camera di Sangue” è il racconto più famoso e sopratutto più amato della Carter. Per chi ha apprezzato la storia di Barbablù, questa favola riscritta sarà una degna rivisitazione dell’originale che, per certi versi, si farà apprezzare ancor di più. Consiglio la lettura di questo libro? Assolutamente si! A chi? Non saprei bene perché si ha davvero paura di urtare la sensibilità di alcuni. Diciamo che consiglio vivamente a chi si appresta a leggere questa raccolta, di farlo a mentalità aperta, libera da pregiudizi e da conformismi, in modo da riuscire a carpire ogni aspetto più profondo della scrittura di questa favolosa autrice.

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